Costruire mondi

Il futuro della pubblicità non è la pubblicità

THINK AHEAD 
Daniele-Bazzano
La pubblicità è invasiva, prepotente, ripetitiva. Vorrebbe convincerci, ma quasi sempre esagera. Le persone la percepiscono come negativa e tendono a evitarla. Come uscire da questa spirale e riscoprire l’importanza del dialogo tra le organizzazioni e il loro pubblico? Trasformando la pubblicità in un racconto: storie che parlano di ciò che davvero le persone hanno a cuore, dei loro bisogni e dei loro desideri. Allestire mondi in cui le persone abbiano voglia di passare del tempo.

Perché la pubblicità lavora per affrancarsi da sé stessa

«La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto, è stato convincere il mondo che lui non esiste». Se questa frase sia da attribuire a Baudelaire o Keyser Söze, poco importa. Ciò che conta è che descrive perfettamente il ruolo della pubblicità moderna.
Siamo invasi e pervasi dalla pubblicità, che entra quasi in ogni aspetto delle nostre vite. Eppure, la pubblicità fa di tutto per essere discreta, silenziosa, invisibile: persuadere senza ordinare, essere incisiva senza essere eccessiva. Ahimè, spesso non ci riesce molto, ma è proprio questo il sintomo di una delle sue più grandi contraddizioni: la pubblicità lavora per il suo funerale. Cerca di essere il più efficace possibile, così da rendersi inutile.

Persuasione e simulazione

Uno degli aspetti più intriganti della pubblicità è il suo potere di persuasione. Chi lavora nel nostro settore cerca costantemente di essere rilevante, di permeare ogni momento della quotidianità degli utenti e, in generale, di attirare l’attenzione (merce rara), generare desiderio e stimolare il consumo, sia esso un acquisto o la fruizione di contenuti digitali. Tutto bello, ma cosa succede quando i livelli di dopamina scendono? La pubblicità svanisce nel nulla, come il sale nell’acqua della pasta.
Un tizio più competente di me, Jean Baudrillard, ci ha spiegato che la pubblicità è una forma di simulazione, un mondo di finzione in cui i prodotti sembrano più desiderabili di quanto non siano in realtà (ricordo ancora quando il professore di comunicazione pubblicitaria ci spiegò che il cremoso yogurt della tv era, in realtà, ducotone).
Questa finzione viene poi presentata come la realtà stessa, grazie a un sapiente gioco di osmosi, e noi consumatori veniamo invitati a partecipare a questa simulazione. Tuttavia, una volta che il consumatore ha acquistato il prodotto e ha scoperto che le promesse pubblicitarie non corrispondono alla realtà, la pubblicità si dissolve, rivelando la sua vera natura contraddittoria.

Sì, ovviamente vi cito Bauman

Un altro aspetto che svela la profonda contraddizione della pubblicità è il suo essere effimera. Gli annunci pubblicitari appaiono in tv, su YouTube, sui quotidiani, sui nostri browser, solo per il tempo di una impression. Dopo, scompaiono per fare spazio a nuovi annunci e nuove campagne pubblicitarie. Ma la persuasione a lungo termine si basa sulla ripetizione: tutto ciò che non viene ripetuto viene dimenticato. Questo atteggiamento fugace della pubblicità sembra quindi in netta contraddizione con un obiettivo di persuasione a lungo termine.
O no? Il sempre poco citato Bauman sostiene in realtà che anche la pubblicità è semplicemente un riflesso della società liquida in cui viviamo. Tutto dura il tempo di uno scroll, tutto è temporaneo e fugace: c’è già il prossimo meme su TikTok da guardare. Il consumatore manifesta tanti (troppi?) desideri in contemporanea, in un gigantesco effetto domino secondo il quale, comprato un oggetto, sono già su Amazon per il prossimo; visto un video, ne voglio già un altro; visto un episodio, attendo già inizi quello successivo. Sembra solo normale, quindi, che la pubblicità cerchi di adattarsi per inseguire l’incessante flusso di coscienza degli utenti.
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Segni particolari: bellissime

Un altro degli aspetti che rende la pubblicità una affascinante contraddizione in termini è la sua intrinseca tendenza all’iperbole. Gli annunci pubblicitari spesso dipingono i prodotti in maniera eccessivamente positiva, esagerando i benefici e nascondendo i difetti. Come quando, cercando di venderti un’automobile con 345.000km, l’annuncio recita: “condizioni da vetrina”. Da sempre la pubblicità tende alla manipolazione della verità, e crea una visione alterata del mondo, in cui la realtà si modifica continuamente. Questa inclinazione alla distorsione è in netta contraddizione con l’idea di una comunicazione aperta e onesta, che abbia realmente a cuore le esigenze dei consumatori e non solo l’EBITDA delle aziende.

Tipo quella di Porta Pia

La dicotomia che preferisco è quella che vivo di più ogni giorno. Più le aziende spendono tempo, soldi, energie e risorse per creare annunci pubblicitari convincenti ed efficaci, più noi consumatori cerchiamo qualsiasi trucco possibile e immaginabile per evitarli. Prendiamo il mio caso. Vendo pubblicità per vivere, ma sono disposto a spendere di più per non avere Netflix ad-supported. Propongo strategie media, ma se vedo una pubblicità in tv, cambio subito canale. Monitoro i KPI come si guarda un figlio crescere, ma quando parte la pubblicità su YouTube non faccio altro che guardare ossessivamente il countdown in basso a destra per poterlo finalmente cliccare.
Nonostante ciò, tutti i giorni cerco di spiegare ai miei clienti perché la pubblicità non sia solo “l’anima del commercio”, ma un valido mezzo per parlare ai consumatori. 
E non è una maschera pirandelliana, ci credo davvero. Anzi, fare breccia nella crescente resistenza dei consumatori alla pubblicità, ed emergere nella generalizzata “banner blindness”cui tutti siamo soggetti, è uno degli stimoli più forti del mio lavoro.

Un’influenza controllabile

La pubblicità è un fenomeno sociologicamente e psicologicamente molto complesso e queste sue contraddizioni, e l’impatto che esse hanno sulla società, fanno parte del suo fascino. Il fatto che la pubblicità si faccia pubblicità per non fare più pubblicità, è un aspetto che fa indubbiamente sorridere, ma deve anche portarci a riflettere come solo con una consapevolezza critica della pubblicità, del suo ruolo e dei suoi meccanismi, possiamo diventare consumatori più attenti, informati e meno influenzabili.
E possiamo diventare organizzazioni più rilevanti: solo con una più ragionata cognizione degli strumenti di advertising e dei loro limiti le aziende potranno essere realmente incisive, e comunicare in modo più significativo.

Dalla pubblicità al racconto

Il punto è che nei contesti fluidi creati dal digitale la comunicazione diventa sempre più importante. È difficile pensare che si vada verso un mondo con meno advertising: anzi, il suo volume probabilmente continuerà a crescere. Il problema è capire come farlo crescere non solo quantitativamente, ma in modo qualitativo. Come passare da una comunicazione ossessionata dalla performance - che genera risultati effimeri solo sul breve periodo - a una comunicazione capace di raccontare davvero qualcosa, creare legami duraturi, restare memorabile sul lungo periodo. Evans ha scritto che in un mondo in cui i processi lineari sono saltati, le categorie merceologiche sono sfumate, tutti competono con tutti, «everything is advertising, everything is brand and everything is about the story».
Nella nostra visione saranno le storie a prendere il posto della pubblicità. Storie dense, significative, che hanno a che fare sempre di più con la vita delle persone e sempre meno con la descrizione (o esaltazione) di prodotti e servizi. Sono le storie di cui sono fatti i brand destinati a durare e a diventare fenomeni culturali. 
Alle organizzazioni, oggi, le persone chiedono soprattutto di saper costruire un mondo nel quale abbia senso vivere, fare esperienze, spendere tempo prima ancora che denaro. E i grandi brand sono impegnati soprattutto a comprendere le tensioni culturali che possono motivare i loro clienti futuri a entrare nel mondo narrativo che hanno allestito.
Oggi più che mai la creatività e la capacità di raccontare sono fondamentali. E invece che assumere un’agenzia creativa alla fine del percorso di ideazione di un prodotto, per aiutarci a venderlo, coinvolgeremo la creatività all’inizio del percorso. Tutto partirà dalla storia che vorremo raccontare: i prodotti e i servizi potranno addirittura venire dopo, saranno una conseguenza del mondo che avremo creato.
Le persone evitano la pubblicità perché spesso è la risposta a una domanda schiacciata sul presente, o che viene dal passato. Mentre il nostro compito dovrebbe essere trovare risposte alle domande che provengono dal futuro.
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