Rischiare è sicuro

Per emergere abbiamo bisogno di una nuova cultura del rischio

THINK AHEAD 
Cristina-Rimoldi
Persone e organizzazioni hanno sempre cercato di limitare e gestire il rischio, inventando strumenti di calcolo e controllo delle possibilità. La complessità della società in cui viviamo, però, ha amplificato la diffusione, l’intensità, la pervasività del rischio. Per questo è necessario cominciare ad affrontare il rischio in modo diverso, e a percepirlo come un’opportunità permanente di cambiamento. Non dobbiamo bloccarci di fronte al rischio, perché il rischio dell’inerzia è molto maggiore del rischio dell’azione.

La scommessa di Sonny

Per parlare del concetto di rischio possiamo partire da Air, il film che racconta come sono nate le Air Jordan, uno dei prodotti più iconici - e più venduti - del secolo scorso.
Air racconta la storia del manager Sonny Vaccaro, incaricato dalla Nike di scegliere tre giovani talenti del basket ai quali proporre un contratto di sponsorizzazione per una cifra complessiva di 250 mila dollari. Il budget non è sufficiente per mettere sotto contratto tre giocatori talentuosi, così Sonny decide di andare all-in su un unico giocatore, Michael Jordan. Qualche miliardo di dollari più tardi, sappiamo tutti com’è andata a finire.
Il film racconta le reazioni dei diversi personaggi messi di fronte a un rischio radicale: se la scelta di Sonny si fosse rivelata errata, il reparto basket della Nike sarebbe stato chiuso e i protagonisti avrebbero perso il lavoro. Così il CEO Phil Knight si dimostra dapprima titubante all’idea, fa resistenza, ma poi si lascia convincere ricordando lo spirito autentico e ribelle sul quale è costruita la sua azienda (ben raccontato nel libro Shoe Dog). I colleghi e amici di Sonny si dividono tra chi lo incoraggia e chi invece si dimostra spaventato. Alla fine, però, tutti partecipano al progetto contribuendo con le loro idee – e quella che segue è la storia di un enorme successo. Una storia da film, in cui la percezione del rischio che l’azienda stava correndo probabilmente ha contribuito anche a convincere la famiglia Jordan, inizialmente orientata a scegliere aziende allora molto più potenti e appealing, come Adidas o Converse.
Sintetizzando al massimo, si potrebbe dire che l’unico vero lavoro dell’imprenditore è prendersi dei rischi. L’imprenditore agisce sempre nell’incertezza, sapendo che la sua azione è soggetta a errori. Ma sa anche che il contesto complesso e mutevole in cui viviamo non gli permette di rimanere inerte: deve agire, muoversi, correre dei rischi. Perché sa che il rischio più grande è quello di farsi sorprendere dal cambiamento, di farsi trovare impreparati di fronte al futuro. Se Sonny Vaccaro avesse scelto di mettere sotto contratto tre giocatori mediocri, probabilmente la Nike avrebbe dovuto affrontare perdite, licenziamenti, e un destino anonimo.

Gestire il rischio è rischioso

Il rischio è la possibilità che succeda qualcosa di negativo: un danno, una perdita, un incidente, un evento indesiderabile. È un concetto connesso all’attitudine umana a proiettarsi nel futuro e coltivare aspettative, e quindi alla nostra capacità imperfetta di prevedere l’esito di situazioni incerte. Nel linguaggio comune, rischio è spesso usato come sinonimo di pericolo, minaccia, azzardo. 
Quando si dice “è rischioso”, in genere si sta pensando che andrà a finire male.
Gli umani hanno sempre cercato di limitare il rischio, dapprima affidandosi alla superstizione, alla fede, all’istinto. Poi cercando di misurarlo e gestirlo attraverso strategie sempre più accurate e scientifiche.
La storia della gestione del rischio inizia nel Rinascimento, quando l’immaginazione umana si libera dai vincoli del passato. È un periodo di turbolenza religiosa e di ridefinizione della cultura. Gli albori del capitalismo stanno già ridisegnando il mondo in senso globale, e sono alimentati da un entusiasmo sfrenato per la scienza e il futuro. 
Sono Pascal e Fermat a creare la prima arte pratica del mondo moderno, fondando l’analisi combinatoria e il calcolo delle probabilità. Per la prima volta nella storia dell’umanità le persone hanno in mano uno strumento per fare previsioni e prendere decisioni con l’aiuto dei numeri. Di colpo gli strumenti di gestione del rischio utilizzati fin dall’inizio della storia umana - le stelle, le danze dei serpenti, i sacrifici umani e le genuflessioni - diventano obsoleti. Senza le leggi della probabilità nessun grande ponte attraverserebbe i nostri fiumi più importanti, la poliomielite continuerebbe a paralizzare i bambini e nessun aeroplano volerebbe. Consegnare le nostre vite ai numeri e ai computer in grado di calcolare le probabilità, tuttavia, ci ha esposto a nuove, problematiche sfide: da un lato, abbiamo sviluppato il pensiero arrogante di poter quantificare e quindi prevedere qualsiasi cosa; dall’altro, abbiamo alimentato sistemi ossessivi di gestione del rischio che spesso ci espongono al rischio di aumentare l’incertezza, anziché controllarla e circoscriverla.
Nella nostra pretesa di controllare e prevenire ogni rischio, rischiamo di dimenticare la verità formulata dall’economista John Maynard Keynes:

“L’inevitabile non accade mai, perché accade sempre l’imprevedibile.”

E chiudere le porta all’imprevedibile significa anche perdere molte opportunità.

Di sicuro c’è solo il rischio

A volte abbiamo l’impressione di vivere nell’età del rischio, chiunque confermerebbe di vivere un’epoca di rischi e maggiori incertezze rispetto al passato.
Ma il fatto è che non stiamo semplicemente affrontando un aumento di rischi senza precedenti: è cambiata la natura stessa del rischio, la sua diffusione e intensità. Il rischio è onnipresente, cambia rapidamente, penetra in ogni aspetto della nostra vita personale, sociale e professionale.
Per questo è necessario cambiare il modo in cui pensiamo al rischio. Il rischio non può paralizzarci, perché il rischio dell’inerzia è molto maggiore del rischio dell’azione. Quando le cose vanno bene, quando siamo in una posizione di relativo vantaggio, è naturale per noi lavorare per preservare lo status quo. Abbiamo una tendenza radicata a sentirci più a nostro agio con le informazioni che confermano i nostri pregiudizi, cerchiamo dati che rafforzino le nostre convinzioni. Ascoltiamo più attentamente coloro che cercano di convincerci che le incertezze sono passeggere, e presto tornerà la “normalità”, quella in cui ci sentiamo a nostro agio e sappiamo come comportarci. Solo che questa fiducia nell’inerzia quasi sempre è mal riposta, ci porta spesso a fare previsioni sbagliate, e in più si traduce in una sorta di processo decisionale autolimitante.
Parliamo del rischio sempre in termini negativi. Noi marketer abbiamo fatto di tutto per eliminarlo dalle nostre vite con espressioni come “senza rischi”, “soddisfatti o rimborsati”, “risultato garantito”, ecc. Eppure, ogni movimento in avanti comporta dei rischi. Esiste però un tipo di rischio che vale la pena correre, quando riusciamo a stabilire che:
1. Le probabilità di riuscita sono proporzionate ai benefici
2. Le conseguenze del fallimento non eliminano la possibilità di provare un percorso diverso la prossima volta
La preoccupazione è utile solo se ci aiuta a essere più attenti, più efficienti e produttivi. Per il resto, è perlopiù una forma di distrazione che ci impedisce di vivere bene la nostra vita e fare bene il nostro lavoro. Per questo in futuro dovremo immaginare una nuova narrativa del rischio. E decidere se vogliamo raccontare la nostra vita, e il nostro lavoro, minimizzando il rischio, con la possibilità di essere sorpresi dall’imprevisto, oppure valorizzandolo, facendone un punto di forza e di evoluzione.
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Compagnie aeree e montagne russe

1. la compagnia aerea: si presenta come estremamente sicura, tutti gli sforzi sono orientati a ridurre al minimo la percezione del rischio, eppure basta una turbolenza a rompere la facciata, mettere tutti in agitazione e alzare notevolmente la percezione del pericolo; 2. le montagne russe: sono decisamente sicure, più sicure di molte altre esperienze quotidiane, ma promettono rischio, avventura e incertezza, e vengono scelte proprio per questo. 
Quando sceglieremo tra queste due opzioni, dovremo ricordare che la nostra storia sarà interessante solo se avremo un rischio da raccontare. Se corriamo un rischio e le cose vanno bene, tutti parleranno di noi e vorranno ascoltare la nostra storia. Ma se non avremo corso rischi, non avremo nulla da raccontare.
Le storie dei pionieri, degli avventurieri, delle esploratrici, le storie di chi non ha paura di seguire il proprio talento e le proprie intuizioni, le storie di chi ci prova comunque, hanno un effetto euforico, ispirano comportamenti nuovi e ci strappano alla prigione della routine.
Nessuno avrebbe scritto un film su un budget diligentemente diviso in tre. Chi vorrà ascoltare la nostra storia? Dovremmo farci questa domanda la prossima volta che saremo chiamati ad affrontare una scelta, avviare un progetto, parlare con un cliente, cominciare un’avventura.
Inspire + Transform +Inspire + Transform +Inspire + Transform +
Let's work together
There’s no such thing as an impossible project.
Hit us up and let’s get to work.

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