Parlare con forza non è parlare forte
In questo momento storico siamo di fronte a due movimenti che convivono uno a fianco all’altro, pur essendo apparentemente contrastanti. Da un lato abbiamo la lotta urlata per l’attenzione, il clickbait, l’esasperazione dei messaggi e l’iperbole: tutto è maiuscolo, tutto è sensazionale, tutto è breaking news.
Dall’altro lato l’ingresso massiccio dell’intelligenza artificiale nei nostri processi di lettura e produzione dei contenuti favorisce la proliferazione di messaggi “medi”, proprio nel senso della media statistica. A causa del suo funzionamento probabilistico l’AI ci restituisce output perfettamente in media (qualcuno direbbe: mediocri). Distinzione, cambiamento, disruption però arrivano quasi sempre dagli estremi, proprio da ciò che non sta nella media: e il tutto minuscolo dell’intelligenza artificiale rischia di diventare tanto illeggibile quanto il tutto maiuscolo del clickbait.
Ci troviamo quindi in una situazione apparentemente paradossale: urlare e parlare in modo standard hanno lo stesso risultato. Non sono azioni distintive. Non creano differenza, perché rispondono entrambe a una tendenza dominante, in cui tutti noi ci troviamo, spesso contemporaneamente: “ci ispiriamo” in modo molto ravvicinato a quello che fanno i competitor (la media), e usiamo call to action esagerate, spesso promettendo più di quello che riusciamo a mantenere (l’iperbole).
Continuiamo a fare zig tutti insieme, senza nessuno che trovi il coraggio e la creatività per fare zag.
In questo contesto, il futuro delle parole e della comunicazione forse è proprio uscire dal ricatto dell’attenzione a tutti i costi: smettere di urlare, e impegnarsi per individuare storie e significati che si impongono perché sono rilevanti e non perché sono scritti in maiuscolo. Cercare ciò che c’è di più autentico in un’organizzazione, trovare il senso profondo del suo messaggio e provare a comunicarlo nel modo più efficace e onesto possibile.
Dall’altro lato, dovremo continuare a indagare ciò che è davvero distintivo, ciò che non sta nella media, le storie capaci di creare una differenza significativa nella mente di chi ci legge e ci ascolta. I tool generativi in questo senso saranno uno strumento prezioso, perché sapranno indicarci in modo sempre più netto il “discorso medio”, ciò che sta in mezzo, e quindi ci aiuteranno a capire meglio in che modo possiamo trovare direzioni divergenti.
Ogni tanto spunta qualcuno che propone di limitare, censurare, circoscrivere in qualche modo il numero di contenuti leggibili sui social o in rete. Probabilmente non sarà questa la soluzione al problema dell’overload informativo, ma forse ci dà uno spunto interessante per capire come fare a scrivere e comunicare meglio. Se impariamo a pensare che davvero chi legge ha un numero limitato di contenuti a cui prestare attenzione - perché di fatto è così, a prescindere dai sogni dei censori - cominceremo a scrivere pensando che non possiamo sprecare la nostra occasione, dobbiamo consegnare il miglior messaggio possibile. Impareremo a mettere qualche punto esclamativo in meno, e qualche punto interrogativo in più. A fare meno affermazioni perentorie, e formulare più domande strategiche.
Infine, dovremo avere l’ambizione di seguire il consiglio che un intellettuale del secolo scorso, Bobi Bazlen, dava agli scrittori e alle scrittrici: “dovete scrivere o il minuscolo, o l’immenso”. Avere l’umiltà di togliere qualche maiuscola, e di pronunciare parole più schiette e spontanee. E allo stesso tempo puntare sempre a scrivere storie che siano importanti, significative, che abbiano una risonanza profonda con la vita delle persone.