La legge dei Lego
A pensarci bene, distruggere fa parte della vita delle persone tanto quantomcostruire. Basta pensare alla mia carriera da art director. Oppure basta guardare un bambino o una bambina che gioca. I bambini distruggono le cose con la stessa facilità e creatività con cui le costruiscono. Fare un disegno è tanto bello quanto distruggere un foglio in mille pezzettini; impilare una torre è tanto bello quanto abbatterla, anzi spesso i bambini la realizzano proprio per distruggerla in modi sempre nuovi; costruire qualcosa con i Lego è tanto bello quanto separare i mattoncini e ricominciare da capo.
I Lego in particolare raccontano bene il rapporto tra creazione e distruzione. Perché possiamo cominciare a costruire, acquistare pezzi nuovi, migliorare la costruzione, renderla più bella e più grande, ma non possiamo aggiungere mattoncini all’infinito. Per costruire all’infinito qualcosa di sempre nuovo e diverso... dobbiamo distruggere! Smontare la nostra costruzione e riconfigurarla.
Forse non sarebbe dispiaciuto a Christensen usare i Lego come metafora per spiegare la sua teoria dell’innovazione: funziona bene. Il nostro set di Lego è la nostra azienda. I mattoncini sono le persone, i processi, i prodotti, in generale gli asset della nostra organizzazione. Spendiamo del tempo per metterli insieme e assemblare qualcosa che piace a chi la guarda: la mamma che ci fa i complimenti per quello che abbiamo costruito è il cliente che acquista soddisfatto i nostri prodotti e servizi. Tuttavia non ci accontentiamo. Sappiamo che dobbiamo innovare, è scritto nel piano strategico: investiamo in nuovi mattoncini – persone, risorse, tecnologia, as- set – per rendere migliore la nostra costruzione. Facciamo il tipo di innovazione che Christensen chiama sustaining, ovvero un’innovazione che migliora le performance dei nostri prodotti e servizi e aumenta la soddisfazione dei nostri clienti attuali. Ha un ritorno economico più rapido, comporta me- no rischi e quindi è più facile da scegliere. Le cose vanno alla grande, fino a quando...
Il nostro fratellino più piccolo poco lontano da noi si intestardisce a creare qualcosa che non somiglia a quello che abbiamo costruito noi. Prova perfino a inventarsi mattoncini di- versi dai nostri. Sembra che non gli importi niente di ricevere i complimenti della mamma. È tutto concentrato sulla sua costruzione alternativa, che interessa solo lui e qualche suo amichetto nerd. Finché un bel giorno se ne esce con una co- struzione unica, che si muove, si illumina e interagisce con altre costruzioni. Ha portato in casa – o nel mercato – quello che chiamiamo una disruptive innovation. Di fronte a quella creazione la nostra costruzione – o azienda – è diventata irrimediabilmente obsoleta: non ce la faremo mai a recuperare il ritardo accumulato, siamo troppo grandi e strutturati, e quindi lenti, per rimetterci in pari. Ormai la mamma ha occhi solo per la costruzione di nostro fratello: se solo avessimo prestato attenzione a quello che stava accadendo nella tecnologia dei mattoncini, se solo ci fossimo preoccupati di come potevano cambiare i bisogni e i gusti della mamma e di tutti quelli che amano le costruzioni Lego!
Insomma, da piccoli abbiamo uno splendido rapporto con la distruzione. Poi veniamo educati a una cultura della conservazione: ci insegnano che distruggere è nocivo, doloroso, triste, inaccettabile.
Per fortuna qualche adulto riesce a conservare dentro di sé il bambino che non ha paura di distruggere. E riesce ad accettare che quello che abbiamo costruito possa smettere di esistere, per lasciare posto a qualcosa di diverso.