Truthful intelligence

Creare con coraggio, cambiare con efficacia

MOVE FORWARD
Matteo-Prencipe
Le organizzazioni sono davvero disposte a distinguersi senza cedere alla tentazione di rincorrere? La consulenza può tenere il passo velocissimo dell’evoluzione tecnologica senza andare in affanno? Siamo tutti disposti a investire in ogni messaggio affinché sia un valore aggiunto a prescindere da come il funnel lo distribuirà? Possiamo tornare a essere persone che ispirano altre persone? Capiamo insieme cosa fare perché la risposta a tutte queste domande sia sì.
Nella comunicazione e nel marketing ci sono buoni propositi che, insieme ai clienti, ci ripetiamo a vicenda ininterrottamente. Possiamo ridurre il tutto a un unico mantra, molto ben riassunto dal sempre causticamente efficace Tom Fishburne in una vignetta memorabile, in cui un manager annuncia la propria strategia al board riunito intorno a un tavolo: “Dobbiamo differenziare il nostro brand, a patto che lo facciamo esattamente nello stesso modo in cui lo fanno i nostri competitor”.
Il risultato? Tanto per restare con le mani bene affondate dentro alla marmellata dell’ideatore di Marketoonist, è più o meno quello di un’altra vignetta: dopo averci costretto a eliminare ciò che è troppo rischioso, troppo diverso, troppo provocatorio, troppo anticonvenzionale, troppo strano, troppo poco testato, troppo difficile, troppo costoso, i respon- sabili dei brand ci chiedono: un momento, e ora cos’è che ci differenzia?
Quello di cui accusiamo l’ancora abbastanza incolpevole Intelligenza Artificiale Generativa, ovvero recuperare il peggio dal grande magma dell’ovvio, senza creare nulla di veramente nuovo e unico, è spesso il novanta per cento della struttura del linguaggio e dei contenuti di cui le marche decidono di dotarsi per parlare alle persone. Quindi la risposta alla domanda “Le marche sono davvero disposte a distinguersi senza cedere alla tentazione di rincorrere?” è inequivocabilmente: no, non lo sono. Solo una cosa può, e soprattutto potrà, aiutarci a rendere quel “no” meno rigido, fino a poterlo plasmare dandogli prima la forma di un “forse” e poi quella di un “sì”, ed è la verità. Vediamo assieme alcuni momenti topici nei quali dire la verità può essere davvero difficile, persino quando si tratta di parlare con noi stessi.
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1.

Quando decidiamo di intraprendere con entusiasmo un percorso lavorativo che ci porterà nel fitto della comunicazione contemporanea, minacciata a ogni angolo da una novità che ci costringerà a rimettere tutto in discussione e ricominciare a imparare ogni cosa da capo, quell’entusiasmo è vero?

2.

Quando riceviamo una richiesta che manca palesemente di senso e affermiamo che “parte del nostro compito è anche dare un senso a qualcosa che ancora non ce l’ha”, diciamo sul serio?

3.

Quando qualcuno all’interno del gruppo di lavoro di cui facciamo parte ha più voce in capitolo di noi rispetto a una scelta definitiva e questa scelta contraddice le nostre idee e i ragionamenti che le supportano, quel “hai ragione, non ci avevo pensato” è la verità?

4.

Quando qualcuno in nome del “cliente” sottolinea che sarebbe stato bello procedere come da noi consigliato, ma che occorre scendere a compromessi con la linea di comando che, si sa, non ha ancora la sensibilità adeguata e non ci resta che rispondere “è comprensibile, era giusto provarci”, ci abbiamo davvero provato?

5.

Quando, prima di addormentarci, proviamo a dare un senso alle nostre giornate dicendo a noi stessi che alla fine non ci importa, che è solo lavoro, la verità è che davvero non ci importa? È davvero solo lavoro?
Molto probabilmente anche la risposta a tutte queste domande è no. E in questo caso non è possibile nascondere il problema sotto quel tappeto gigantesco che si chiama “algoritmo”. La soluzione è semplice, è smettere di assecondare un meccanismo perverso che si avvita su se stesso da anni e cominciare a usare quei “no” per rifiutare un compromesso che troppo spesso è soltanto paura del lavoro che costerà gestire le conseguenze di una scelta nuova.
Nulla cambia all’improvviso senza che ciascuno, lentamente, cambi un poco. Nessuna evoluzione significativa della società, figuriamoci della comunicazione, è avvenuta in una notte e senza che sia costata cara. Per questo la verità diventa più leggera da portarsi dietro e più efficace da usare se condivisa con altre persone.
La verità, per sua stessa definizione, non è forse mutabile come la realtà che deve rappresentare? Pensiamo invece alla granitica ripetitività di alcuni elementi della comunicazione digitale come le call to action. Pensiamo ora alla più diffusa e banale, ovvero Scopri di più, e chiediamoci se non saremmo in grado di sovvertire questa piccola regola a beneficio della rilevanza di un’alternativa nuova, più viva, più coerente col presente che viviamo e, soprattutto, più efficace. Finalmente abbiamo una risposta positiva: sì, saremmo in grado eccome, ed è forse il caso di cominciare a farlo. Insieme.

È sempre colpa di qualcun altro.

E invece no. È alle aziende che offrono consulenza che occorre chiedere la verità, facendosi trovare pronti ad affrontarla senza che la deriva dei benchmark ci porti verso la catastrofe dell’oblio. Visto uno, visti tutti. È nostro compito, quindi, trovare la forza finanziaria per poter reggere al rinculo di un nuovo inizio fatto di minore
accondiscendenza e maggiore visceralità. Una buona idea è quella che ci fa tener duro, senza farci arretrare, di fronte ai vari “Molto bello, ma”, “E se facessimo un mix delle due cose?”, “Forse è troppo per noi”.

Va bene scherzare però poi facciamo sul serio.

Il sarcasmo, è notorio, vive e lotta insieme a tutte le persone che devono affrontare un lavoro creativo e/o di consulenza. È spesso il modo più veloce, guarda caso, per essere rilevanti, oltre che una preziosa valvola di sfogo per tutta la frustrazione accumulata quando non ci siamo impegnati abbastanza per dire la verità e siamo inciampati in quella brutta bestia che è l’eccesso di assertività. Tutti abbiamo messo un mi piace a questo o a quel post di quella o quell’altra community che fa dell’abominevole linguaggio del marketing, che devasta (più di quanto abbiano mai fatto davvero fatto i mitici toscani del buon Stanis La Rochelle) le nostre e-mail, l’oggetto di meme sempre molto divertenti. E va bene così, certo. Occorre però fermarsi ogni tanto e smettere di prendersi sul serio oltre il necessario, provando nel proprio piccolo a smantellare quella sovrastruttura che non aiuta la nostra amata verità. Riderci addosso, proprio come il suo opposto piangersi, è un pericoloso viatico verso l’autoassoluzione. Insomma, per essere rilevanti è bene provare a scendere a compromessi con se stessi almeno quanto è bene fare autocritica.

Non è il mio campo.

Veniamo ora agli strumenti. Quelli che una volta erano trasportabili in una ventiquattrore, ora sono a nostra disposizione in un tablet, per non dire in uno smartphone. Sono cambiati. E da quando l’hanno fatto radicalmente, continuano a cambiare sempre più spesso e sempre più velocemente, oltre che più profondamente.
Non abbiamo avuto il tempo di cui hanno goduto i fondatori delle discipline che oggi sono il nostro lavoro, per noi “del digitale” tutto è successo più in fretta. Ma per fortuna sono cambiate, assieme, anche le possibilità.
Per questo, nel duemilaventiquattro, è opportuno passare in giudicato che non esistono più dubbi sull’efficacia della presenza delle marche sulle piattaforme digitali, social media compresi. Anche questa è una verità. Una verità che deve servire da puntello nella scelta di compagni di viaggio capaci di leggere il continuo ribollire dell’evoluzione tecnologica e culturale. Essere rilevanti, d’altra parte, significa ancora e prima di tutto esistere ovunque ci sia dell’attenzione.

Persone, oltre l'Internet of Things

Ovunque ci sia dell’attenzione devono necessariamente esserci delle persone, ed è importante tornare a guardarle nella complessità e nell’interezza del loro essere umane. Ciascuno ha tutti gli strumenti per emergere, e uno dei più importanti è circondarsi degli stimoli giusti affinché ogni piccola scusa diventi invece un’importante verità. Il cambiamento è di tutti almeno quanto la responsabilità di realizzarlo. Allora mettiamo qui, per iscritto, una nuova call to action collettiva:
DI’ LA VERITÀ
Intanto noi continueremo a chiederci se per tornare a essere umani che ne ispirano altri non dovremmo forse usare sempre meno la parola utenti e sempre di più la parola persone.
Inspire + Transform +Inspire + Transform +Inspire + Transform +
Let's work together
There’s no such thing as an impossible project.
Hit us up and let’s get to work.

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